Disturbo Specifico di Apprendimento (DSA)

Un’ intervento multidimensionale secondo l'Approccio Centrato sulla Persona

Dott.ssa Elisa Matani

Il disturbo specifico di apprendimento (DSA) è una difficoltà di natura neurobiologica, ossia una compromissione a carico di una o più abilità scolastiche. I diversi disturbi: dislessia, disgrafia, discalculia e disortografia, possono presentarsi in compresenza tra loro o in modo isolato. Essi  interessando circa il 4% della popolazione scolastica. Oggi più che in passato ci si interroga, alla luce di tali considerazioni, su quali possano essere gli elementi significativi per il raggiungimento di una diagnosi tempestiva, di una valutazione che tenga conto delle diverse sfaccettature del fenomeno e di un trattamento che risulti efficace. Mi occupo già da un po’ di tempo di DSA e nel Centro Clinico in cui lavoro e di cui sono socia (a Bracciano), ho riunito una equipe con diverse figure professionali con l’intento di seguire i bambini, gli adolescenti e le loro famiglie sin dalle prime fasi di questo cammino troppo spesso tortuoso e faticoso. Si tratta di figure come: lo psicologo, lo psicoterapeuta, il logopedista e il neuropsicologo dell’età evolutiva; il progetto condiviso insieme riguarda sia la prevenzione che il trattamento psicologico – didattico specifico su misura per ogni bambino e per il contesto in cui vive, con l’obiettivo di rendere lo studente autonomo nel suo cammino futuro. Tutte le conoscenze, le competenze e le abilità messe in campo senza riserve, hanno lo scopo di trovare una strategia che consideri il ragazzo l’attore principale del proprio percorso di apprendimento, lavorando sull’accettazione del disturbo, sulla motivazione e sulle tante emozioni in gioco. Il trattamento dei DSA non è un “dopo scuola” o una “ripetizione”, ma un percorso parallelo, un sostegno mirato al superamento delle difficoltà scolastiche, un lavoro di rielaborazione di attività pensate per il soggetto e per i suoi bisogni. Ma qual è il modo migliore per stabilire un contatto collaborativo con un bambino bisognoso di aiuto? Specie se i suoi sentimenti nei confronti dello studio e della scuola sono frustrazione, senso di inadeguatezza, colpa, rabbia e noia? E come deve essere il rapporto con la famiglia e con gli insegnanti? E’ qui che entra in gioco C.R.Rogers e l’Approccio Centrato sulla Persona. Grazie infatti all’ascolto empatico e all’accettazione positiva incondizionata si viene a creare quel clima facilitante in cui il ragazzo e lo psicologo collaborano insieme per la pianificazione dell’intervento. I materiali che danno i risultati migliori sono proprio quelli proposti e costruiti dal soggetto stesso, trasformando in tal modo l’incontro con il consulente in un vero laboratorio creativo in cui il ragazzo si sente accolto ed ascoltato in modo autentico, ma soprattutto sente di essere il solo protagonista del suo percorso di apprendimento. Il clima di reciproco rispetto e di condivisione degli obiettivi permette di affrontare anche le altre fasi dell’intervento, quelle più impegnative, dove il ragazzo dovrà svolgere attività ed esercizi specifici, studiati e strutturati appositamente per lui. L’atmosfera ludica, serena e giocosa renderà l’incontro interessante e piacevole, stimolando in modo efficace la motivazione verso lo studio. Anche i colloqui con la famiglia e gli insegnanti sono di fondamentale importanza. Vanno raccolte informazioni circa l’evoluzione dello sviluppo e delle diverse fasi della crescita psicomotoria, lo sviluppo del linguaggio, il livello di socializzazione, le modalità di inserimento nella scuola e il clima familiare presente. Ugualmente importanti sono le indicazioni da parte degli insegnanti, è necessario conoscere la metodologia didattica e il contesto classe. In conclusione, l’intervento comprende azioni mirate da sviluppare in due ambiti precisi: 1) quello personale, ossia la storia del soggetto, le sue emozioni, gli interessi, i bisogni e la motivazione; 2) quello organizzativo, ossia la rete di sostegno che comprende il clima scolastico e familiare, nonché la disponibilità a cooperare ed organizzare percorsi alternativi, creativi e originali. Senza una valida metodologia tutto ciò non sarebbe possibile, quindi è indispensabile un approccio empatico e un’accoglienza senza giudizi per affrontare le difficoltà e sviluppare un trattamento dei DSA che sia più efficace possibile, diminuendo la probabilità di insuccesso.

 

 

La Violenza sulle Donne

Dott.ssa Elisa Matani

 

Quando penso alla parola VIOLENZA il mio corpo non può che reagire immediatamente, le emozioni che sento sono paura, dolore, rabbia, senso di impotenza, ansia, terrore e angoscia. Subire un atto di aggressione e maltrattamento, non solo fisico ma anche psicologico, è la forma più pervasiva di violazione dei diritti umani conosciuta oggi. E’ un oltraggio che devasta vite e disgrega comunità intere, nonché un problema di proporzioni enormi.

I dati parlano chiaro e sono inequivocabili. In Italia ogni 2 giorni e mezzo viene uccisa una donna.  Dall'inizio del 2013 al 30 giugno si contano 65 femminicidi. Sempre in  Italia si stima che 6.743.000 donne, tra i 16 e i 70 anni, siano vittime di abusi fisici o sessuali e circa un milione abbia subito stupri o tentati stupri. Secondo l'OMS, inoltre, il 33,9% delle donne che ha subito violenza per mano del proprio compagno e il 24% di quante l'hanno subita da un conoscente o da un estraneo non ne parla. Il 14.3% delle donne, secondo il rapporto, è stata vittima di atti di violenza da parte del partner, ma solo il 7% lo ha denunciato. Quella domestica, inoltre, è la seconda causa di morte per le donne in gravidanza (fonte OMS e Sole 24ore).

La violenza fisica negli ultimi anni è aumentata dal 18% al 22%; questa non è mai sola poiché la violenza psicologica, le minacce e la violenza economica sono comportamenti ad essa connessi. I dati statistici che oggi conosciamo sono solo una parte di ciò che realmente accade alle donne, sono solo i dati alla luce del giorno, ma quante donne soffrono in silenzio senza denunciare i maltrattamenti? Quante donne subiscono nella loro vita la violenza “ nascosta”, quella che rimane al buio, fatta di sensi di colpa, di dipendenza affettiva verso il proprio carnefice, fatta di paura senza via di uscita e senza la possibilità di urlare e farsi sentire. Molto spesso i maltrattamenti psicologici sono ancora più violenti. Le vessazioni e le umiliazioni subite, per non parlare della vergogna che molte donne portano dentro di sé, minano l’autostima, la sicurezza e la dignità, fino a “schiacciare” completamente una persona.

A volte anche la dipendenza economica risulta un fattore determinante, possono presentarsi infatti forti restrizioni economiche e una totale gestione del denaro da parte del partner; rendendo ancora più faticoso, se non impossibile, l’allontanarsi, per la donna, dal contesto violento.  Inoltre, la preoccupazione di non poter sostenere economicamente i propri figli diventa la catena che costringe la donna a rimanere nella violenza e, soltanto quando sono i figli stessi ad interporsi tra la madre e il violento nel tentativo di difenderla o, quando vengono direttamente coinvolti nelle azioni violente, la donna trova la motivazione e il coraggio di rischiare e fuggire. Oltre tutto l’atto violento potrebbe non finire con la chiusura del rapporto, ma continuare anche dopo con un atteggiamento persecutorio.

Con il coinvolgimento dei minori si viene a creare un fenomeno conosciuto come “violenza assistita”: senza un adeguato aiuto, infatti, essi possono avviarsi alla vita adulta con un bagaglio di problematiche comportamentali e psicologiche fino allo sviluppo di disturbi dissociativi e di personalità. Inoltre, crescere in un clima aggressivo, significa assimilare una modalità di relazione violenta che tenderà a ripetersi all’interno delle proprie relazioni affettive da adulti.

In occasione del 25 novembre, giornata internazionale dedicata alla violenza contro le donne, siamo tutti invitati a partecipare (indossando o esponendo qualcosa di rosso) alle diverse iniziative promosse dalle tante associazioni che in questi anni si sono mobilitate nella lotta contro questo drammatico fenomeno.

 

Crisi e Separazioni: quando la Psicologia incontra la Giurisprudenza

Dott.ssa Elisa Matani

I motivi che portano una famiglia e una coppia a separarsi possono essere tanti: la nascita e la crescita di un figlio, la comunicazione che si interrompe, la competizione e il successo lavorativo, le fragilità, la qualità del legame, la dipendenza emotiva fino all’incapacità o impossibilità di soddisfare i propri bisogni. Al di là, delle diverse scintille che possono condurre a tale scelta, si tratta comunque di un evento molto doloroso e faticoso, come se fosse un lutto vero e proprio, una perdita insomma. I due partners si trovano all’improvviso a confrontarsi come due “sconosciuti”, incapaci di comprendersi all’interno di un dialogo che un tempo era abituale; scuotendo l’equilibrio e mettendo in discussione la stessa capacità di relazionarsi. E’ il sistema coniugale e familiare che entra in crisi, separando un modo di essere da un altro modo di essere. Crisi ha infatti tale significato…”separazione”, ma anche possibilità. Un’opportunità per trasformare un nuovo modo di vivere ed esistere, per recuperare la fiducia verso le proprie risorse senza rimanere schiacciati, passivi ed immobili sotto le macerie di un’unione ormai in frantumi. J.J. Davis ha detto:” Ogni crisi è come una moneta: da una parte porta con sé il pericolo, dall'altra l'opportunità. Capovolgete la moneta. Non perdetevi l'opportunità di emergere da questa crisi pù forti e più intelligenti: dei sopravvissuti migliori”. Dunque separarsi non sempre corrisponde ad una guerra psicologica e giudiziaria, è possibile trovare un sano compromesso all’insegna della prevenzione dei minori e degli adulti coinvolti. Il cambiamento prodotto dalla crisi familiare può essere ascoltato, accolto e gestito attraverso la creazione di un clima empatico e di rispetto. Dove le persone non vengono giudicate ed etichettate, ma dove è possibile condividere le emozioni e i bisogni di ognuno, affrontando e dando significato alla sofferenza della separazione. La figura dello psicologo è d’aiuto nel sostegno delle emozioni e dei vissuti; grazie all’empatia e alla qualità dell’ascolto viene facilitato il processo di auto guarigione e di trasformazione dovuta al cambiamento. Insieme ad esso, l’avvocato avrà il compito e la responsabilità di non inasprire ulteriormente i toni del conflitto già di per sé delicato e doloroso, cercando di fare della separazione un momento di passaggio e non un campo di battaglia. L’obiettivo è anche quello di un serio cambiamento ideologico, in cui vengano considerate, ascoltate e messo al “centro” le persone e non l’evento della separazione come atto puramente giudiziario.

 

 

Un Gruppo di Colleghi Rogersiani … e non solo

Dott.ssa Elisa Matani

C’erano una volta….. cinque psicologi che un giorno si avvicinarono ad un libro e lessero le parole di C.R. Rogers, rimanendo affascinati dal fatto di ritrovarsi immediatamente in quelle righe sia come persone che come professionisti. Quelle parole così profonde e significative fecero in modo da far incontrare quei cinque fino al punto di spingerli a condividere le loro esperienze e i loro affetti, fino al punto di diventare amici gli uni per gli altri, fino al punto di legare le loro vite. Il frutto di quell’incontro con Rogers ma anche tra loro prese forma pian piano fino a diventare un progetto ambizioso e appassionato.

Quel progetto oggi si chiama Associazione Efficace – Mente, ossia un gruppo di psicologi e psicoterapeuti altamente formati secondo l’Approccio Centrato sulla Persona e in diverse discipline. Un gruppo di persone che hanno unito ad un grande legame affettivo la forza di credere in un progetto lavorativo comune e la stima professionale nelle proprie reciproche competenze, con l’intento di divulgare una metodologia e un modo di essere. I cinque fondatori dell’Associazione (Loredana Trebisacce, Elisa Matani, Sara Nizzi, Alessandra Izzo e Paolo Maccarone) credono che i servizi psicologici debbano essere alla portata di tutti, come alla portata di tutti dovrebbero essere le parole e gli insegnamenti di Rogers. Colui che così profondamente ha cambiato il loro cammino, permettendo di raggiungere una nuova consapevolezza e un modo di essere psicologi senza rinnegare sé stessi come persone….senza maschere insomma.

I servizi offerti dall’Associazione sia nel Lazio, Umbria, Campania e Marche, sono: consulenza, psicoterapia e formazione verso singoli, coppie, famiglie e gruppi, con particolare attenzione verso gli adolescenti e i minori. L’obiettivo è quello di promuovere benessere, salute mentale e prevenire il disagio psicologico. Le aree di maggior interesse infatti riguardano la cura del disagio psicologico in tutte le sue forme, la psicologia giuridica e forense, la psicologia dell’emergenza (assistenza telefonica H24) e dello sport, la psicosomatica, l’intervento scolastico, i DSA, l’autismo, l’Adhd. Senza dimenticare la formazione attraverso i corsi Gordon, nonché seminari formativi e informativi su diverse tematiche di interesse psicologico. L’Associazione si avvale inoltre di altre figure professionali all’interno di un lavoro di equipe: il logopedista, l’avvocato, il neuropsicologo dell’età evolutiva, lo psichiatra.

“Punto focale è l'individuo, non il problema. Lo scopo non è quello di risolvere un problema particolare, ma di aiutare l'individuo a crescere perché possa affrontare sia il problema attuale, sia quelli successivi in maniera più integrata."
(Carl R. Rogers)

 

 

Il Benessere Psicologico

Dott.ssa Alessandra Izzo

 

 

Breve riflessione su cosa s'intende per benessere o bene – essere.

Tale stato appare sempre meno percepibile ad ognuno di noi a seguito delle condizioni di stress che sembrano condizionare la nostra vita. Troppo spesso i professionisti ascoltano e osservano i propri clienti accusare e manifestare stati ansiosi, debolezza fisica e psichica chiari segni di un malessere che prende il sopravvento. Il benessere, all'opposto, è una stato di vigore fisico, rilassamento ed è caratterizzato dalla percezione fisica e psichica di tale condizione. A questo proposito potremmo parlare di bene – essere intendendo sottolineare la stretta relazione tra lo stare bene e il sentirsi bene, una condizione psico – fisica inscindibile. Psiche e soma sono interconnessi tra loro; è per tanto necessario intervenire in modo integrato su entrambe gli aspetti allo scopo di restituire alle persone il benessere. Dedicare a sé stessi un momento della giornata potrebbe essere di supporto per affrontare le molte difficoltà con le quali ci scontriamo quotidianamente. L'Associazione EFFICACE – MENTE lavora in questa direzione cioè: offrire a chi volesse o ne sentisse il bisogno e un luogo nel quale incontrare sé stessi e con l'aiuto di un professionista qualificato trovare gli strumenti per  ri – equilibrare il proprio stato di bene – essere.

Videogiochi e bambini: quale opportunità …

 

Di Elisa Matani

 

Durante tutto l’arco della mia esperienza professionale sono stata troppe volte testimone di un malessere psicofisico che colpisce bambini e giovani ragazzi (dai 6 ai 13 anni) imputabile tanto all’uso improprio della tecnologia e dei videogiochi quanto alla mancanza di alternative costruttive. Se l’uso corretto e sano di un mezzo di comunicazione o di uno strumento ludico è quello di assolvere e soddisfare un reale bisogno, troppo spesso accade che tali dispositivi invece diventino dipendenza, malessere e illusione (falsi bisogni).

Vengono a trovarmi sempre più di frequente genitori di bambini con sintomi come: insonnia, senso di irrequietezza, rabbia, stanchezza, paura e ansia. Disagi questi che compaiono senza un’apparente causa scatenante se non quella di scoprire che nella vita di questi bambini si fa un uso esagerato e non controllato di telefoni, tablet e videogiochi. A volte si creano delle vere e proprie dipendenze e i genitori osservano nei loro figli capricci immotivati e richieste sempre più insistenti dello strumento in questione associate poi a pianti disperati.

Cerchiamo innanzitutto di capire come mai i videogiochi attraggono così tanto. In primo luogo offrono una stimolazione sensoriale che nessun altro gioco è in grado di garantire; informazioni visive, uditive e talvolta anche tattili che creano una sinergia molto più coinvolgente. Tutto ciò mette in condizioni il soggetto di vivere una vera e propria esperienza sensoriale virtuale e con l’aggiunta di un tema piacevole per l’utente il gioco risulta ancora più attraente. Il tema scelto però non è solo piacevole, bensì soddisfa bisogni psicologici ben precisi. Un videogioco infatti garantisce virtualmente un senso di affiliazione, di autostima e di autorealizzazione. Il giocatore soddisfa liberamente ciò che più è desiderabile senza fare mai i conti con le conseguenze. In secondo luogo viene offerta un’esperienza di empatia emotiva e cognitiva in cui il soggetto si immedesima in modo totale nel personaggio del videogioco. Infine, vi è la possibilità di creare un alter Ego (Avatar) come estensione delle proprie capacità di azione con una vera e propria intenzione comunicativa. Si viene quindi a creare un’espressione identitaria (cosa sono, cosa vorrei essere, cosa voglio comunicare ecc.) con un aspetto motivazionale significativo.

Appare però rischioso l’aspetto della soddisfazione di bisogni che non avviene nella realtà e la mancata percezione delle conseguenze. Il giocatore infatti, non sarà motivato ad avere tali stimoli e comportamenti nella realtà di tutti i giorni, in quanto ha già trovato una piattaforma dove possono essere soddisfatti facilmente desideri e bisogni senza mai fare i conti con la frustrazione e le conseguenze negative di cui invece la vita reale è piena. Ciò conduce inevitabilmente ad una diseducazione alla vita stessa e ad una mancata crescita e sana evoluzione dell’ essere umano che deve necessariamente adattarsi rispetto alle richieste interne ed esterne, ossia intime, sue personali ma anche sociali. Tale rischio per un bambino appare ancora più evidente proprio perché in età di sviluppo, dove per sviluppo non si intende solo quello del corpo, ma anche quello psicologico ed emotivo. In questa particolare età della vita i bambini fanno i conti con le emozioni, con i successi, i fallimenti, con i bisogni e con i desideri. Il compito degli adulti ma anche della società di cui fanno parte è quello di fornire loro i giusti strumenti e le risorse nell’affrontare tutto ciò. Il videogioco a riguardo offre un’illusione e una fuga, non una reale educazione psicofisica.

Come si aiuta una famiglia in una situazione del genere? Dove a volte i genitori si sentono senza via di uscita o costretti dallo stile di vita quotidiano e dai tanti impegni lavorativi a seguire certi comportamenti invece che altri? Nel mio lavoro mi capita spesso di far riflettere questi genitori sui bisogni e le emozioni dei loro figli, sul significato della relazione che si instaura con loro. Gli adulti devono necessariamente fungere da modello di riferimento sano e costruttivo. L’obiettivo è quello di trovare insieme a loro un punto d’incontro dove a beneficiarne sia l’intero sistema familiare. Parlando con queste famiglie in modo autentico, sincero, all’interno di un clima empatico di fiducia e accettazione, si cerca di venire incontro ai bisogni di tutti, ci si educa al rispetto di sé, degli altri e delle regole, proprio come in un videogioco ma la differenza è che lo si fa dal vivo, in un’esperienza reale. La realtà allora diventerà la vera attrattiva, recupererà significato e risulterà agli occhi di questi bambini molto più attraente. La magia dell’incontro con l’altro all’interno di un’esperienza realmente significativa ed emozionante lascia dentro di noi una traccia indelebile e affascinante molto più di ciò che potrebbe fare la tecnologia. Giocare e condividere insieme ai propri figli, dando delle alternative ludiche efficaci che non abbiamo nulla a che fare con la tecnologia illusoria significa per queste famiglie ritrovarsi nello stare insieme veramente, rinforzando i legami, riconoscendo le emozioni e i bisogni, cercando di conoscersi e riconoscersi man mano che si cresce e ci si confronta. L’incontro diventa un momento in cui le incomprensioni possono essere superate, in cui ci si educa a gestire le conseguenze, la rabbia e la frustrazione come esperienza arricchente e non necessariamente schiacciante né soffocante. I genitori hanno l’occasione di provare e far provare una reale esperienza empatica in cui ci si immerge nel mondo dell’altro e lo si rispetta, portando benefici alla qualità delle relazioni e alla modalità comunicativa. Così facendo la realtà prende man mano il posto della “virtualità”e i “giocatori” iniziano a vivere non più nel mondo dei videogiochi ma in quello di tutti i giorni.

Aiutando in questo modo genitori e  bambini appare sempre più chiaro che …. non sempre ciò che si presenta come una problematica da risolvere rimane tale nel tempo, essa si può trasformare in una risorsa preziosa e in un’opportunità irripetibile.